"Stella"

Il cortometraggio di Gabriele Salvatores






Un supermercato. Una giovane donna che nasconde qualche prodotto alimentare sotto la giacca e poi, prima di uscire e pensando alla figlia che l'attende in macchina, ruba un giocattolo con cui si possono cucinare dolci. La fuga in auto avrà un esito tragico: la donna muore e la figlia, Stella, ha una gamba gravemente lesionata. 27 anni dopo assistiamo a un colloquio tra un'importante chef donna e una ragazza non facile ma con un grande talento nel preparare dolci.
Gabriele Salvatores partecipa con questo cortometraggio al progetto "perFiducia",sponsorizzato da Intesa Sanpaolo, che ha al centro il tema della fiducia. Quasi volesse muoversi in direzione opposta e contraria rispetto alla freddezza cinica che pervadeva i personaggi di Quo Vadis Baby? Salvatores sviluppa una riflessione sulla scuola della sofferenza. Chi ha sofferto nel passato non necessariamente si impegna perché anche altri debbano soffrire. Può invece godere del vantaggio della compassione perché, nell'accezione latina del termine, sa cosa significa 'patire con'. È quanto accade a Stella che, divenuta adulta, sa vedere nella ragazza che le sta di fronte quasi un ritratto, più che di se stessa, della madre di cui conosceva i problemi. L'incontro diventa così occasione di scambio fiducioso tra due esseri umani che dal dolore fanno nascere la speranza. Come accadeva nel finale di Io non ho paura e con una particolare attenzione ai primi piani che marcano la differenza sul piano sociale mentre, al contempo, sottolineano una crescente vicinanza nel "sentire"


SPAZIO DI CONDIVISIONE 




Care ragazze e cari ragazzi del “Dandolo”.
Abbiamo pensato di aprire uno spazio all'interno del Blog Formazione Umana del nostro Istituto,
che trovate nella Home Page della Sede Centrale, per darvi la possibilità di raccontarci quello che
state vivendo, quello che vi passa per la mente in questo tempo che ci costringe a stare fisicamente
lontani ma, per fortuna, virtualmente vicini grazie alla tecnologia.
Vi chiediamo, se ne avete la voglia, di scrivere poesie, racconti, pensieri e narrazioni in libertà.
Stiamo vivendo tempi che incidono fortemente sul nostro io, sul nostro modo di vedere noi stessi, e
noi stessi in relazione agli altri, siano essi parenti, amici o gente che semplicemente si conosce, o
gente che non si conosce affatto, ma che sta vivendo la stessa nostra storia in un altro punto del
nostro piccolo ma splendido pianeta Terra.
La scrittura ha un grande potere terapeutico: vi permette di esternare frammenti di dolore, rabbia,
paura, felicità, amore, speranza, amicizia. Vi permette tutto.
Vi da la possibilità di  colorare i vostri sogni, di renderli un tantino più visibili a voi stessi, vi aiuta a
ripensarvi come persone. La scrittura vi rende più liberi e consapevoli.
Ecco, lo spazio che vi offriamo è per tutti voi e per tutti noi che potremo leggerlo, e per qualsiasi
persona intenda visitarlo. Dovete solo inviare i vostri scritti all'indirizzo mail  manucons@libero.it.


L'uomo che piantava gli alberi (Jean Giono)

Film d'animazione di Frédérick Back tratto dal romanzo di Jean Giono. Vincitore del premio Oscar per il miglior cortometraggio d'animazione nel 1988.










Durante una delle sue passeggiate in Provenza, Jean Giono ha incontrato una personalità  indimenticabile: un pastore solitario e tranquillo, di poche parole, che provava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Nonostante la sua semplicità  e la totale solitudine nella quale viveva, quest'uomo stava compiendo una grande azione, un'impresa che avrebbe cambiato la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future. Una parabola sul rapporto uomo-natura, una storia esemplare che racconta «come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione».


L'uomo che piantava gli alberi




COVID-19


Come trasformare questa tragedia in una risorsa.
Proposte di letture, film, poesie che possano riempire i nostri pomeriggi a casa e ci diano la possibilità di riflettere e guardare oltre le notizie dei telegiornali. Supereremo anche il corona virus e dobbiamo avere fiducia impiegando al meglio i nostri talenti.






Il Piccolo Principe

In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..."
"Chi sei?" domando' il piccolo principe, "sei molto carino..."
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono cosi' triste..."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomestica".
"Ah! scusa", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire <addomesticare>?"
"Non sei di queste parti, tu", disse la volpe, "che cosa cerchi?"
"Cerco gli uomini", disse il piccolo principe.
"Che cosa vuol dire <addomesticare>?"
"Gli uomini" disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. E' molto noioso! Allevano anche delle galline. E' il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?"
"No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire "<addomesticare>?"
"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire <creare dei legami>..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo".
"Comincio a capire" disse il piccolo principe. "C'e' un fiore... credo che mi abbia addomesticato..."
"E' possibile", disse la volpe. "Capita di tutto sulla Terra..."
"Oh! non e' sulla Terra", disse il piccolo principe.
La volpe sembro' perplessa:
"Su un altro pianeta?"
"Si".
"Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?"
"No".
"Questo mi interessa. E delle galline?"
"No".
"Non c'e' niente di perfetto", sospiro' la volpe. Ma la volpe ritorno' alla sua idea:
"La mia vita e' monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio'. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara' illuminata. Conoscero' un rumore di passi che sara' diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara' uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu' in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e' inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e' triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sara' meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e' dorato, mi fara' pensare a te. E amero' il rumore del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardo' a lungo il piccolo principe:
"Per favore... addomesticami", disse.
"Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, pero'. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose".
"Non ci conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno piu' tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose gia' fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno piu' amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!"
"Che cosa bisogna fare?" domando' il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, cosi', nell'erba. Io ti guardero' con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' piu' vicino..."
Il piccolo principe ritorno' l'indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.
"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincero' ad essere felice. Col passare dell'ora aumentera' la mia felicita'. Quando saranno le quattro, incomincero' ad agitarmi e ad inquietarmi; scopriro' il prezzo della felicita'! Ma se tu vieni non si sa quando, io non sapro' mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
"Che cos'e' un rito?" disse il piccolo principe.
"Anche questa e' una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'e' un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi e' un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza".
Cosi' il piccolo principe addomestico' la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangero'".
"La colpa e' tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
Poi soggiunse:
"Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua e' unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalero' un segreto".
Il piccolo principe se ne ando' a rivedere le rose.
"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora e' per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si puo' morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa".
E ritorno' dalla volpe.
"Addio", disse.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi".
"L'essenziale e' invisibile agli occhi", ripete' il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi' importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurro' il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verita'. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripete' il piccolo principe per ricordarselo
27 Gennaio

GIORNATA DELLA MEMORIA 


  Proposte didattiche per una lezione non retorica

 L’educazione deve rendere più umani Anniek Cojean dice che un preside di liceo americano aveva l’abitudine di scrivere, ad ogni inizio di anno scolastico, una lettera ai suoi insegnanti. La seguente:

«Caro professore, sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti; bambini uccisi con veleno da medici ben formati; lattanti uccisi da infermiere provette; donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiore e università. Diffido – quindi – dall’educazione. La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani». 

(Fonte: Anniek Cojean, Les mémoires de la Shoah, in Le Monde del 29 aprile 1995).

Intervento del Presidente Mattarella alle celebrazioni per il Giorno della Memoria

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla celebrazione del “Giorno della Memoria” Palazzo del Quirinale, 25/01/2018 Rivolgo un saluto ai presidenti del Senato, della Camera dei Deputati e della Corte costituzionale, ai membri del governo, a tutti i presenti, a coloro che ci ascoltano attraverso la tv. Un saluto particolare ai superstiti dei campi di sterminio, alla senatrice Segre, ai ragazzi. Il 27 gennaio del 1945 le truppe russe varcavano i cancelli di Auschwitz, spalancando, davanti al mondo attonito, le porte dell'abisso. Quei corpi ammassati, i volti dei pochi sopravvissuti dallo sguardo spento e atterrito, i resti delle baracche, delle camere a gas, dei forni crematori erano il simbolo estremo della scellerata ideologia nazista. Un virus letale - quello del razzismo omicida - era esploso al centro dell'Europa, contagiando nazioni e popoli fino a pochi anni prima emblema della civiltà, del progresso, dell'arte. Auschwitz era il frutto più emblematico di questa perversione. Ancora oggi ciò che ci interroga e sgomenta maggiormente, di un mare di violenza e di abominio, sono la metodicità ossessiva, l'odio razziale divenuto sistema, la macchina lugubre e solerte degli apparati di sterminio di massa, sostenuta da una complessa organizzazione che estendeva i suoi gangli nella società tedesca. Il cammino dell'umanità è purtroppo costellato di stragi, uccisioni, genocidi. Tutte le vittime dell'odio sono uguali e meritano uguale rispetto. Ma la Shoah - per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volontà di sterminio, pianificazione burocratica, efficienza criminale - resta unica nella storia d'Europa. Come fu possibile che anziani, donne, bambini anche di pochi mesi, stremati dalle lunghe persecuzioni, potessero essere sistematicamente eliminati, perché considerati pericolosi nemici? Che fine aveva fatto tra gli ufficiali di un esercito prestigioso, dalle grandi tradizioni, il senso dell'onore, quello per cui, quanto meno, non si uccidono gli inermi? Dove era finito il sentimento più elementare di umanità e di pietà di una nazione, evoluta e sviluppata, di fronte alle moltitudini di innocenti avviati, con zelo e nella generale indifferenza, verso le camere a gas? Migliaia di cittadini, i "volenterosi carnefici di Hitler", come li ha definiti lo storico Goldhagen, cooperavano alla distruzione degli ebrei. Con questo consenso il nazismo riuscì a sterminare milioni di ebrei, di oppositori politici e di altri gruppi sociali - gitani, omosessuali, testimoni di Geova, disabili - considerati inferiori e ritenuti un ostacolo per il progresso della nazione. Saluto e ringrazio per la loro presenza il presidente della Federazione dei Rom e Sinti, il presidente dell'Associazione deportati politici. Saluto anche il presidente degli internati militari: 800 mila soldati che, per il rifiuto di collaborare con i nazisti e di arruolarsi sotto le insegne di Salò, patirono privazioni, persecuzioni e violenze. Da Liliana Segre e Pietro Terracina abbiamo sentito poc'anzi il racconto diretto, sconvolgente e inestimabile, dell'inferno dei campi, avvertendo la stessa emozione provata, nei giorni scorsi, ascoltando le parole, anch'esse essenziali e penetranti, di Sami Modiano. Agli internati venivano negati il nome, gli affetti, la memoria e il futuro, il diritto a essere persone. Tutti i sentimenti erano brutalmente proibiti, tranne quello della paura. Si possono uccidere, a freddo, senza remore, sei milioni di individui inermi se si nega non soltanto la loro appartenenza al genere umano ma la loro stessa esistenza. Soltanto per effetto di questa insana distorsione essi possono essere trasformati - con un progressivo e violento processo di spoliazione - da persone, titolari di diritti, in oggetti di freddi elenchi, in numeri, come quelli che i sopravvissuti ai campi di sterminio - che saluto tutti ancora - portano indelebilmente segnati sul proprio corpo. Anche in Italia questo folle e scellerato processo di riduzione delle persone in oggetti fu attuato con consapevolezza e determinazione. Sul territorio nazionale, è vero, il regime fascista non fece costruire camere a gas e forni crematori. Ma, dopo l'8 settembre, il governo di Salò collaborò attivamente alla cattura degli ebrei che si trovavano in Italia e alla loro deportazione verso l'annientamento fisico. Le misure persecutorie messe in atto con le leggi razziali del 1938, la schedatura e la concentrazione nei campi di lavoro favorirono enormemente l'ignobile lavoro dei carnefici delle SS. Le leggi razziali - che, oggi, molti studiosi preferiscono chiamare "leggi razziste"- rappresentano un capitolo buio, una macchia indelebile, una pagina infamante della nostra storia. Ideate e scritte di pugno da Mussolini, trovarono a tutti i livelli delle istituzioni, della politica, della cultura e della società italiana connivenze, complicità, turpi convenienze, indifferenza. Quella stessa indifferenza, come ha sovente sottolineato la senatrice Segre, che rappresenta l'atteggiamento più insidioso e gravido di pericoli. Con la normativa sulla razza si rivela al massimo grado il carattere disumano del regime fascista e si manifesta il distacco definitivo della monarchia dai valori del Risorgimento e dello Statuto liberale. Una donna forte e coraggiosa, Ernesta Bittanti, vedova dell'eroe trentino Cesare Battisti, commentava così nel suo diario quei giorni cupi e di dolore: «Io porto tutto il peso di queste sventure nel mio cuore (...) peso che mi viene dal ruinare di questa nostra povera Italia nell'abisso della barbarie spirituale. Da cui certo si riavrà un giorno!». Lo Stato italiano del ventennio espelleva dal consesso civile una parte dei suoi cittadini, venendo meno al suo compito fondamentale, quello di rappresentare e difendere tutti gli italiani. Dopo aver soppresso i partiti, ridotto al silenzio gli oppositori e sottomesso la stampa, svuotato ogni ordinamento dagli elementi di democrazia, il Fascismo mostrava ulteriormente il suo volto: alla conquista del cosiddetto impero accompagna l'introduzione di norme di discriminazione e persecuzione razziale, che si manifesta già nell'aprile del 1937, con il regio decreto legge volto a punire i rapporti tra cittadini italiani e quelli definiti sudditi dell'Africa orientale italiana, per evitare che venisse inquinata la razza. Alla metà del 1938, con le leggi antiebraiche, rivolgeva il suo odio cieco contro una minoranza di italiani, attivi nella cultura, nell'arte, nelle professioni, nell'economia, nella vita sociale. Molti, venti anni prima, avevano servito con onore la Patria - come ufficiali, come soldati - nella grande guerra. Ma la persecuzione, da sola, non fu ritenuta sufficiente. Occorreva tentare di darle una base giuridica, una giustificazione ideologica, delle argomentazioni pseudo-scientifiche. Vennero cercati - e, purtroppo, si trovarono - intellettuali, antropologi, medici, giuristi e storici compiacenti. Nacque Il Manifesto della Razza. Letto oggi potrebbe far persino sorridere, per la mole di stoltezze, banalità e falsità contenute, se sorridere si potesse su una tragedia così immane. Eppure questo Manifesto, dalle basi così vacue e fallaci, costituì una pietra miliare della giurisprudenza del regime; e un nuovo "dogma" per moltissimi italiani, già assoggettati alla granitica logica del credere, obbedire, combattere. La penna propagandistica, efficace nel suo cinismo, coniò lo slogan con il quale intendeva rassicurare gli italiani e il mondo, nel tentativo di prendere, apparentemente, le distanze dall'antisemitismo nazista: "Discriminare - disse Mussolini - non significa perseguitare". Ma cacciare i bambini dalle scuole, espellere gli ebrei dall'amministrazione statale, proibire loro il lavoro intellettuale, confiscare i beni e le attività commerciali, cancellare i nomi ebraici dai libri, dalle targhe e persino dagli elenchi del telefono e dai necrologi sui giornali costituiva una persecuzione della peggiore specie. Gli ebrei in Italia erano, di fatto, condannati alla segregazione, all'isolamento, all'oblio civile. In molti casi, tutto questo rappresentò la premessa dell'eliminazione fisica. Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il Fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l'entrata in guerra. Si tratta di un'affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza. Volontà di dominio e di conquista, esaltazione della violenza, retorica bellicistica, sopraffazione e autoritarismo, supremazia razziale, intervento in guerra contro uno schieramento che sembrava prossimo alla sconfitta, furono diverse facce dello stesso prisma. Abbiamo, in questo giorno della Memoria, ascoltato testimonianze coinvolgenti dei sopravvissuti. Nelle loro parole si avverte la forza e il fascino della loro vita ritrovata, della loro volontà di vivere con pienezza ma, al contempo, ci si rende conto dell'immenso patrimonio di presenze e di protagonismi che ci avrebbe assicurato la vita di coloro che sono stati trucidati nei lager e che quella programmata violenza omicida ci ha sottratto. Dalla professoressa Foa, dalla presidente Di Segni, dalla ministra Fedeli abbiamo sentito discorsi netti e lungimiranti: le ringrazio molto. Abbiamo rivissuto, attraverso le voci incisive di Remo Girone e Victoria Zinny, momenti drammatici della nostra storia di allora. Siamo stati affascinati dalle canzoni, commoventi e piene di speranza di Noa, messaggera di pace e di bellezza. Grande amica dell'Italia, venuta appositamente da Israele per condividere con noi il Giorno della Memoria e renderlo ancora più ricco di intensità. La ringrazio di cuore, con stima e amicizia. Abbiamo incontrato anche i giovani appena tornati dall'esperienza, sconvolgente ma formativa, del viaggio ad Auschwitz. A loro viene affidato il compito di custodire e tramandare la Memoria, perché non si attenui e non si smarrisca mai, per non rischiare di provocare nuovi lutti e nuove tragedie. Focolai di odio, di intolleranza, di razzismo, di antisemitismo sono infatti presenti nelle nostre società e in tante parti del mondo. Non vanno accreditati di un peso maggiore di quel che hanno: il nostro Paese, e l'Unione Europea, hanno gli anticorpi necessari per combatterli; ma sarebbe un errore capitale minimizzarne la pericolosità. I cambiamenti rapidi e sconvolgenti che la globalizzazione comporta - le grandi migrazioni, i timori per lo smarrimento della propria identità, la paura di un futuro dai contorni incerti - possono far riemergere dalle tenebre del passato fantasmi, sentimenti, parole d'ordine, tentazioni semplificatrici, scorciatoie pericolose e nocive. La predicazione dell'odio viene amplificata e propagata dai nuovi mezzi di comunicazione. La tecnologia e la scienza offrono grandi opportunità ma, come sempre, se non correttamente utilizzate, possono rendere disponibili strumenti sofisticati nelle mani di vecchi e nuovi profeti di morte. Contro queste minacce, contro il terrorismo, contro il razzismo e la violenza dell'intolleranza serve cooperazione internazionale, servono coraggio e determinazione. E' necessario, soprattutto, consolidare quegli ideali di democrazia, libertà, tolleranza, pace, eguaglianza, serena convivenza, sui quali abbiamo riedificato l'Europa dalle macerie della seconda guerra mondiale. Le leggi razziali in Italia erano entrate in vigore nell'autunno del 1938. Il 1 gennaio del 1948, dopo neppure dieci anni, la Costituzione Italiana sanciva solennemente che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Di mezzo, vi era stata la cesura della guerra. Una guerra terribile, che aveva sparso morte e devastazione su larga parte del mondo. E che aveva aperto gli occhi del mondo sulla follia portatrice di morte del nazismo e del fascismo. La Memoria, custodita e tramandata, è un antidoto indispensabile contro i fantasmi del passato. La Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, si è definita e sviluppata in totale contrapposizione al fascismo. La nostra Costituzione ne rappresenta, per i valori che proclama e per gli ordinamenti che disegna, l'antitesi più netta. L'indicazione delle discriminazioni da rifiutare e respingere, al suo articolo 3, rappresenta un monito. Il presente ci indica che di questo monito vi era e vi è tuttora bisogno. Egualmente credo che tutti gli italiani abbiano il dovere, oggi, di riconoscere che un crimine turpe e inaccettabile è stato commesso, con l'approvazione delle leggi razziali, nei confronti dei nostri concittadini ebrei. La Repubblica italiana, proprio perché forte e radicata nella democrazia, non ha timore di fare i conti con la storia d'Italia, non dimenticando né nascondendo quanto di terribile e di inumano è stato commesso nel nostro Paese, con la complicità di organismi dello Stato, di intellettuali, giuristi, magistrati, cittadini, asserviti a una ideologia nemica dell'uomo. La Repubblica e la sua Costituzione sono il baluardo perché tutto questo non possa mai più avvenire. Vi ringrazio.