PERCHE’ ANCHE DOPO PIU’
DI MEZZO SECOLO NON SMETTE DI FAR MALE.
“ .. i primi suoni che sentii dalla pancia di mia madre
furono gli scoppi delle bombe, e la prima carezza che ricevetti fu da parte
della punta di una mitragliatrice sulla panica di mia madre ..”
Queste sono le parole, pronunciate da un uomo, che la guerra
l’ha vissuta, non sulla sua pelle, ma dentro la sua anima. Quella guerra che ha
rapito un padre, privandolo della più grande gioia per un genitore, senza poter
nemmeno vedere gli occhi di quello che sarebbe stato suo figlio.
Noi, quegli occhi siamo riusciti a vederli, ed era pressochè
impossibile non notare quanta sofferenza vi era nascosta all’interno.
Ora parlo come studentessa, il classico modello di alunna,
che durante le abitudinarie conferenze in teatro, si abbiocca sulla spalla del
vicino, e che in ogni caso non perde l’occasione per farsi una bella
chiacchierata e perché no, anche due risate.
Vi dico che durante l’incontro con l’associazione ANED
(Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti), nonostante il teatro
fosse colmo di ragazzi, non c’è stato un solo caso di qualcuno che si fosse
addormentato, di qualcuno che ridesse, di qualcuno che parlasse.
Solo il Silenzio
regnava in quell’aula, un silenzio di rispetto, ma soprattutto di conforto, di
sostegno verso quell’uomo, cresciuto senza aver mai avuto la possibilità di
sapere cosa fosse un padre, di cui ha solo una una lettera lasciata tra le assi di un carro bestiame
che l’avrebbe portato poco dopo nel campo di Mattaushen, indirizzata alla
moglie in cui richiedeva che il figlio si chiamasse Cesare.
Questo è tutto ciò che gli resta di suo padre, un nome. Il suo.
Ogni volta che sentirà pronunciare quella parola, sarà per lui, come se il
genitore rivivesse con lui per quell’istante.
Cesare, vorrei ringraziarti a nome della scuola di aver
avuto la forza di parlare, di raccontare la tua, la sua, in un certo senso
anche la nostra storia.
Personalmente ti vorrei fare questa promessa : se mai
riuscirò ad andare in quel campo di dolore, di lacrime, di agonia, il mio
pensiero giungerà a te, e a quell’abbraccio che non ho avuto la forza di darti in
teatro .. penserò a tuo padre, lo pregherò affinchè resti sempre al tuo fianco
(cosa che non credo abbia mai smesso di fare), e gli indirizzerò alcune
semplici parole: ‘Papà, sono io, Cesare,
e sono qui ’ , perché dal momento in cui tu ci hai raccontato la tua storia,
sei diventato parte di noi, parte di me, e come tale, se ci sarò io, in
sensolato ci sarai anche tu.
Grazie Cesare
Studentessa IIS
V.DANDOLO
Aurora
Cerlini 4°A agr.