Maus" è uno splendido romanzo a fumetti, molto citato e poco letto, in cui un fumettista si confronta con la tragedia dell’Olocausto e con la figura del padre, un sopravvissuto di Auschwitz, cercando nello stesso tempo di “custodire la memoria” e di costruire un’opera narrativa di grande impatto.
“Maus” racconta tutte le terribili peripezie vissute da Vladek, il padre di Art, durante tutto l’arco della Seconda Guerra Mondiale: dalla vita agiata e tranquilla degli anni ’30 a quella squallida del ghetto dopo l’invasione della Polonia, dal periodo della fuga e della clandestinità all’orrore del lager. La vicenda è ricostruita con molta accuratezza storica, ma l’attenzione dell’autore è soprattutto rivolta all’aspetto umano dei personaggi: l’acume e l’intraprendenza di Vladek, la fragilità e la sensibilità della giovane moglie Anja, futura madre di Art. 
L’autore ha lavorato per oltre dieci anni a “Maus”, stendendo da capo la sceneggiatura per ben tre volte, compiendo alcuni viaggi in Europa per documentarsi e riempiendo decine di taccuini di schizzi per riuscire a trovare lo stile di disegno adatto alla storia che voleva raccontare. I terribili racconti dei genitori e la personalità forte e un po’ ingombrante del padre avevano fatto sì che Art sviluppasse un profondo coinvolgimento interiorecon la tragedia della Shoah. Ma era possibile trasmettere ai lettori tutta la complessità di questo rapporto personale? Era possibile parlare della più insensata pagina del passato conservando contemporaneamente esattezza storica e umanità narrativa? Era possibile descrivere l’orrore senza scadere nello scabroso? E, soprattutto, era possibile fare tutto questo in un fumetto? Sono queste le terribili domande a cui prova a rispondere ogni pagina di “Maus”, opera costruita sia su un’accurata ricerca storica che su una profonda e sincera ricerca interiore.

Per rendere più evidente questo complesso processo di creazione, che è fondamentale per capire tutta l’opera, Spiegelman ha avuto l’idea geniale di rendere “Maus” un’opera metafumettistica, e quindi dotata di una certa consapevolezza del suo essere un fumetto. Ha dunque trasformato il vero nucleo narrativo del libro, gli episodi di guerra, in una serie di lunghi flash-back, e ha collocato il “presente” del racconto negli incontri che lui stesso aveva col vecchio padre proprio per procurarsi dai suoi racconti il materiale per scrivere il libro. Viene così delineata anche la figura di Vladek anziano, anche con i suoi peggiori difetti, e viene profondamente analizzato il suo rapporto col figlio e con il mondo.
“Maus” è dunque basato su un continuo alternarsi fra vita di tutti i giorni e orrore, fra padre di oggi e padre di ieri, fra sopravvissuto e sopravvivente. Ed è proprio questo continuo sbalzo sia narrativo che temporale ad essere una delle caratteristiche più interessanti di tutto il libro. Anche perche il contrasto, sottolineato anche da alcuni elementi del linguaggio grafico, è forse solo apparente. Non è un caso che i personaggi, nel “presente” come nel “passato” siano sempre dei topi

Perché topi?

Il primo impatto con il libro è sconcertante proprio perché i personaggi sono tuttianimali: gli Ebrei sono topi, i Polacchi sono maiali, i Tedeschi sono gatti, i Francesi sono rane… Gli animali sono evidentemente umanizzati ma mantengono sempre le loro caratteristiche: talvolta dai pantaloni fa persino capolino la coda, che in genere è la prima cosa a sparire. Questa stranezza assume un carattere decisamente inquietante quando ci si accorge di quanto sia serio l’argomento di questo fumetto, di quanto sia diverso dalle storie con animali protagonisti che siamo abituati a leggere: disturba che un argomento così terribile sia trattato in questo modo, dato che sembra quasi irrispettoso mostrare le vittime della barbarie nazista come dei topi. Spiegelman punta proprio su questo, vuolespiazzareed interessare il lettore, ma non è assolutamente sua intenzione umiliare o irridere suo padre e i sopravvissuti. In realtà dietro a questa scelta folle e geniale c’è una raffinatissima serie di rimandi che soltanto chi sia in possesso di una solida cultura fumettistica e letteraria può capire appieno.
Mickey Mouseè il più miserevole ideale mai esistito… I sentimenti salutari dicono ad ogni giovane indipendente e a ogni persona dignitosa che il parassita sporco e immondo, il peggiore portatore di malattie del regno animale, non può essere il tipo ideale di animale… Basta con la brutalizzazione giudaica della gente! Abbasso Mickey Mouse! Indossate la svastica!
da un articolo di giornale, Pomerania, Germania, a metà degli anni Trenta
In primo luogo, Spiegelman intende dunque rifarsi al linguaggio del Nazismo stesso e costruire sui simboli di cui esso si serviva una graffiante base per la sua opera. Lo stesso Hitler, nei passi più deliranti del suo“Mein Kampf”, chiamava gli Ebrei con sommo disprezzo “ratti” e dichiarava che il popolo tedesco era“il nemico naturale di questa orrenda infestazione”. Spiegelman, in un’intervista, afferma:“I simboli che uso per le diverse nazionalità in questo libro non sono i miei. Li ho presi in prestito dai Tedeschi (…) Il vero soggetto del libro è l’uguaglianza tra gli esseri umani. E’ una follia separare nettamente le cose con demarcazioni di carattere nazionale o razziale”.

Uno degli obiettivi principali dell’autore è dunque mostrare in modo immediato e violento tutta l’assurdità del razzismo hitleriano, che ha portato ogni gruppo nazionale o etnico a comportarsi come una specie a se stante. In termini concreti, aveva fatto sì che ogni Tedesco si sentisse in dovere di dare la caccia, torturare ed uccidere gli Ebrei, esattamente come un gatto fa per istinto con un topo.
L’assurdità di queste teorie ha dunque spinto gli uomini, vittime e carnefici, sul fondo di ogni degradazione, li ha resi davvero bestie. Tutti i popoli sono stati coinvolti in questo colossaleabbrutimento: i Polacchi, che pare siano stati davvero particolarmenti crudeli con i prigionieri ed abbiano approfittato del Nazismo per mostrare tutto il loro brutale antisemitismo, diventano maiali. La risposta alla più celebre domanda diPrimo Levi, se è possibile che questi siano davvero uomini, ci viene data da Spiegelman nella prima vignetta della sua opera.
Il secondo riferimento è aifumetti popolari metropolitani, di cui Spiegelman è esperto e studioso. L’eterno duello fra l’astuto topo ed il prepotente gatto era una delle scene ricorrenti di questo filone di letteratura disegnata. Questo continuo riferimento ad un fumetto “più consueto” vuole forse ricordare al ricevente che sta leggendo appunto solo un fumetto, e che quello che ha tra le mani è solo una pallida rappresentazione cartacea dell’orrore vero, quello che uomini veri (e non topi da fumetto) hanno vissuto sulla loro pelle.
Il terzo riferimento deriva da un’acuta riflessione sulla figura del topo nell’immaginario collettivo. Il topo visto da solo è Mickey Mouse: un animaletto simpatico, carino, furbetto e in grado di cavarsela in qualunque situazione; l’astuto e intraprendente Vladek è forse una specie diversione tragicadi Topolino. Se osservati nella loro esistenza massificata invece i topi diventano un’orda orrenda, da film horror, in cui non è possibile scorgere alcuna individualità. Ed è forse in quest’ottica che si può leggere la denuncia più forte del libro: contro i carnefici, che pensavano di sterminare gli Ebrei come una massa di non-uomini, ma forse anche contro le vittime, incapaci di difendere la propria libertà e la propria dignità di esseri umani.